Il tentativo di Alinsky di portare il community organizing in Italia

da | 21.06.11 | Italia

Tratto da Alice Belotti, 2011, “La comunità democratica. Partecipazione, educazione e potere nel lavoro di comunità di Saul Alinsky e Angela Zucconi”, Fondazione Adriano Olivetti, pp. 57-66

La seconda traccia riguarda invece i due viaggi di Alinsky in Italia (tra 1958 e 1960), e la sua idea di dare avvio a un secondo “fronte europeo” della IAF. 

Il legame di Alinsky con il Belpaese è da ricondurre a Jacques Maritain, il grande filosofo tomista francese che egli aveva conosciuto nel 1945, durante il suo “esilio” americano. Alinsky e Maritain avevano percepito fin dal primo incontro una profonda affinità intellettuale: entrambi credevano fermamente nella partecipazione dal basso, nell’educazione e nella fiducia nel libero arbitrio come presupposti imprescindibili di una società autenticamente democratica. Ne era nata un’affettuosa e intima amicizia, testimoniata dalle numerose lettere che si scambiarono nell’arco di ventisette anni, fino all’improvvisa morte di Alinsky. 

La questione della pubblicazione “mancata” di Reveille for Radicals da parte di Adriano Olivetti costituisce il primo tempo di un rapporto di Alinsky con l’Italia che si sarebbe sviluppato compiutamente soltanto alla fine degli anni Cinquanta, quando egli cominciò a prefigurare al Comitato dei Direttori della IAF la prospettiva di dare avvio a un “secondo fronte” europeo della Fondazione. Durante la sua permanenza in Italia come Ambasciatore di Francia in Vaticano, Maritain aveva stretto amicizia con Giovanni Battista Montini (futuro Papa Paolo VI), all’epoca sottosegretario di Stato di Pio XII e dal 1954 Arcivescovo di Milano. Maritain gli aveva parlato in toni entusiastici di Alinsky, del Back of the Yards Neighborhood Council e dei suoi metodi organizzativi.

Alinsky si trattenne una prima volta in Italia per circa cinque settimane, nel maggio-giugno 1958. Su suggerimento di Maritain, che da Princeton lo aiutò a organizzare un programma di viaggio fitto di incontri, scrisse una breve lettera a Monsignor Giovanni de Menasce, direttore dell’Ente Nazionale Scuole Italiane di Servizio Sociale (ENSISS) e caro amico del filosofo francese fin dal “periodo Vaticano”: “Caro Mons. de Menasce: Jacques Maritain mi ha chiesto di scriverle in riferimento alla mia imminente visita in Italia. Jacques mi ha parlato in dettaglio del suo interesse circa la prospettiva di organizzazioni di comunità locali in linea con alcuni dei principi che ho delineato in Reveille for Radicals […]. Ci sono molte questioni di comune interesse che vorrei molto discutere con lei. A parte questo, ho anche sentito parlare talmente tanto di lei da Jacques da ritenere un grande privilegio anche solo il fatto di conoscerla […]. Jacques ha inoltre insistito perché io e lei ci incontrassimo, se possibile, con Adriano Olivetti, dicendomi che lei avrebbe potuto organizzare l’incontro. Conto di essere in Italia i primi giorni di maggio, e molto probabilmente trascorrerò quattro giorni circa a Milano con l’Arcivescovo Montini […], poi una settimana circa a Roma per incontrare lei, il sig. Olivetti ed eventualmente chiunque altro lei voglia suggerirmi di vedere” [cit. da Doering, 1994: 75].

Mons. de Menasce gli rispose di lì a pochi giorni, suggerendogli di mettersi in contatto direttamente con Adriano Olivetti39. Non è stato ancora possibile ricostruire con precisione i dettagli di questo primo “viaggio in Italia” di Alinsky, a Milano e poi a Roma: è certo, comunque, che egli trascorse tre giorni nel capoluogo lombardo, in compagnia di Montini. I due discussero animatamente dei problemi socio-economici e politici della città, e della crescente tensione a livello nazionale tra Chiesa cattolica e Partito Comunista Italiano. L’Arcivescovo si disse preoccupato di fronte all’apparentemente inesorabile allontanamento dei fedeli, e alla loro adesione in massa ai sindacati di sinistra e al PCI. Sperava che Alinsky potesse dargli qualche consiglio tattico-organizzativo su come fermare questa preoccupante “emorragia”, e contrastare la presa dell’ideologia comunista sulle forze sindacali. I due si congedarono con la promessa reciproca di rimanere in contatto: Montini avrebbe letto i numerosi libri che Alinsky gli aveva lasciato (tra i quali i suoi Reveille for Radicals e John L. Lewis: An Unauthorized Biography), e avrebbe cominciato a prendere in seria considerazione la possibilità di avviare un progetto della IAF a Milano40. Se i pomeriggi erano dedicati all’Arcivescovo, la sera Alinsky trascorreva invece lunghe ore a discutere con i sindacalisti della CGIL. Le tracce del soggiorno a Roma si fanno, invece, più slabbrate. Il direttore esecutivo della IAF trascorse un’intera giornata (verosimilmente il 22 maggio 1958) in compagnia del Cardinale Samuel Stritch, Arcivescovo di Chicago in visita in Vaticano, che gli organizzò un’udienza con Papa Pio XII. L’incontro con de Menasce è testimoniato soltanto da una copia della prima edizione di Reveille for Radicals conservata presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, recante una dedica autografa di Alinsky al suo “buon amico monsignor de Menasce con ammirazione e affetto”. L’incontro con Adriano Olivetti e il suo “gruppo”, che Maritain aveva tanto caldamente sollecitato, non sembra invece aver avuto luogo in occasione di questo primo viaggio in Italia di Alinsky.

Nel 1960 Alinsky intraprese il suo secondo (e ultimo) viaggio in Italia, trattenendosi a Roma per una decina di giorni. Il suo precedente soggiorno si era rivelato “molto bello e utile” [cit. da Doering, 1994: 79], e il fortunato incontro con l’Arcivescovo Montini, nel frattempo nominato Cardinale dal nuovo Papa Giovanni XXIII, sembrava prospettarsi foriero di nuovi e interessanti sviluppi. Alinsky aveva ora le idee più chiare rispetto al suo “progetto Italia”. Le premesse c’erano tutte per organizzare le comunità industriali del Paese. Nel 1960 Alinsky torna in Italia facendo leva – come a Back of the Yards – sull’esasperato interesse della Chiesa cattolica a recuperare terreno sul Partito Comunista Italiano, che stava progressivamente erodendo la sua base ideologica ed elettorale. I suoi contatti con le alte gerarchie Vaticane avrebbero potuto garantirgli, inoltre, l’autorevole lasciapassare di cui aveva bisogno. Nell’aprile 1960 Alinsky partì per Roma con un calendario fitto di incontri con diplomatici della Segreteria di Stato Vaticana, politici e sindacalisti. Non appena arrivato trovò il tempo di noleggiare un’auto e avventurarsi a sud della capitale, tornando a Roma talmente colpito dalla miseria del Mezzogiorno da scrivere con amarezza alla seconda moglie, Jean Graham: “qui non hanno bisogno di organizzazione di comunità. Qui hanno bisogno di una rivoluzione. Anche se organizzati, non avrebbero comunque le risorse per fare niente di niente. L’abisso di povertà […] richiede un programma organico di ricostruzione economica, con capitali dal governo italiano e dalla Banca Mondiale. Mi stupisce che non siano tutti comunisti” [cit. da Finks, 1984: 117] Alinsky convenne con i suoi interlocutori vaticani di concentrare gli obiettivi organizzativi della IAF nelle grandi città industriali del Nord Italia, a Milano e a Torino, per poi prendere in considerazione in un secondo tempo anche Roma e il Sud Italia. Li convinse anche ad avanzare una richiesta congiunta di finanziamento alla Ford Foundation; ma il “Progetto Italia” era destinato a infrangersi in breve tempo di fronte alla sconcertante indifferenza e al deludente conservatorismo della burocrazia vaticana.

Forse Alinsky aveva in mente l’immagine anacronistica dell’Italia di Roma città aperta di Roberto Rossellini, un film che aveva visto molto anni prima e che lo aveva commosso profondamente. Nel maggio 1946 Alinsky scrisse una lunga lettera a Maritain, raccontandogli tra le altre cose di aver assistito alla proiezione del film Roma città aperta di Rossellini e di esserne rimasto profondamente colpito: “sono molto ansioso di sapere la tua opinione su un film che ho visto di recente. Mi riferisco a un film girato a Roma e intitolato Roma città aperta. È un film che parla della Resistenza italiana contro l’occupazione nazista e i suoi due protagonisti sono un comunista e un prete cattolico. Non mi vergogno di dirti che sono stato profondamente commosso dal film. La presentazione dei valori umani e veramente spirituali che appaiono sia nel comunista che nel prete cattolico di fronte al trauma del Nazismo hanno lasciato una tremenda impronta dentro di me. Penso di essere stato sorpreso tanto dal vedere la ricca e spirituale bellezza nel cuore del prete cattolico quanto dal vederla in quello del comunista (può essere una cosa terribile da dire, ma so che mi capirai). Hai visto il film e hai avuto anche tu la stessa sensazione?” [cit. da Doering, 1994: 29-30]. il comunista Manfredi e il prete cattolico don Pietro erano stati capaci di cooperare e condividere i pericoli della lotta partigiana, di fronte alla sanguinaria occupazione nazista. Alinsky era evidentemente convinto che facendo leva sul self-interest della Chiesa e guadagnandosi l’appoggio di figure influenti sensibili all’autentico messaggio cristiano, avrebbe potuto ricreare in Italia le condizioni favorevoli all’applicazione dei principi organizzativi della IAF. La potente Chiesa romana, tuttavia, non era la stessa Chiesa minoritaria che aveva appoggiato a Chicago la causa dei lavoratori oppressi di Back of the Yards. Più discuteva con i funzionari papali più gli sembrava di parlare con persone provenienti “da un altro pianeta” [cit. da Finks, 1984: 118]: il Vaticano era incredibilmente invischiato nella politica italiana e l’esasperato clima da guerra fredda l’aveva spinto verso posizioni sempre più immobiliste, intolleranti e conservatrici. “L’Inquisizione non avrebbe potuto essere peggiore” [cit. da Finks, 1984: 118], scriveva Alinsky in una lettera alla moglie, dichiarandosi profondamente deluso e amareggiato dall’ottusità del Vaticano e della classe dirigente italiana. I sindacati comunisti, dal canto loro, erano categorici nel loro rifiuto di un qualsiasi coinvolgimento con la Chiesa cattolica. Lo scontro tra i due fronti era talmente aspro che sarebbe stato pressoché impossibile non venire travolti dallo spirito di parte, e soffocati dalla mancanza di collaborazione. Il “Progetto Italia” si concluse così ancora prima di cominciare. Nel giugno 1960, il segretario di Stato Vaticano Cardinale Angelo Dell’Acqua scrisse ad Alinsky di aver attentamente vagliato i margini di applicazione dei metodi della IAF alla realtà italiana, e di avere escluso qualsiasi probabilità di successo. È verosimile che Alinsky non ne fosse rimasto per nulla sorpreso: lui stesso si era mantenuto fin dall’inizio su una posizione piuttosto cauta, prima di convincersi dell’impossibilità di trovare appoggio in una Chiesa cattolica tanto integrata nello status quo, paternalista e intransigente.

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