Un bambino decora una finestra della Chiesa presbiteriana Tippecanoe di Milwaukee, una delle organizzazioni membre di Common Ground
Uno dei momenti ricorrenti nel community organizing è la formazione. E’ un’attività continua a cui viene dedicata molta attenzione e alla quale vengono invitate a partecipare le persone più interessanti e promettenti che gli organizer incontrano attraverso gli incontri relazionali.
Siamo in un’aula della Marquette University, l’università privata cattolica più prestigiosa di Milwaukee. L’università aderisce a Common Ground e uno dei modi in cui contribuisce è offrendo le proprie aule per i training.
Per introdurre l’argomento gli organizer partono sempre da “il mondo come dovrebbe essere”. Non esisterebbe nessuna possibilità di cambiamento se non ci fosse dentro di noi un’immagine di un mondo come dovrebbe essere.
“Quali sono le caratteristiche del mondo come dovrebbe essere?”
“Dove hai imparato a immaginare un mondo così?”
“Chi te lo ha insegnato?”
Rusty Borkin va alla lavagna e raccoglie quello che dicono i partecipanti. Dignità. Casa e cibo per tutti. Uguaglianza. Amore. Giustizia.
Ce lo hanno insegnato i nostri genitori. Qualcuno lo ha appreso in Chiesa. Altri dai libri, a scuola, o grazie alla conoscenza di persone che hanno ammirato.
E cosa si contrappone al mondo come dovrebbe essere?
“Il mondo come è”, risponde qualcuno.
A quel punto veniamo divisi in coppie. Quando nella vostra vita avete realizzato che il “mondo come è” è diverso dal “mondo come dovrebbe essere”? Raccontatelo al vostro compagno.
Lamont, un giovane uomo di colore, mi racconta di quando passò un intero fine settimana nella casa del figlio di un collega bianco del padre. Una villa di lusso con piscina e stanze grandi, e cibo abbondante. Tornato a casa non poté fare a meno di raccontare entusiasta l’esperienza ai suoi amici. Ma non aveva idea della reazione che avrebbe suscitato.
“Ci hai traditi, non sei più parte di noi!”. “Ti senti superiore, eh?”. “Sei andato con quella gente perché ci disprezzi”. Con poche battute Lamont si trovò di colpo solo, con dentro un senso di colpa e insieme di ribellione.
Provo a immaginare un’esperienza del genere, io che non sono di colore, io che sono dalla parte privilegiata della linea di divisione. Provo a parlare del momento in cui io ho realizzato il mondo come è. Il liceo, le dinamiche di esclusione all’interno dei gruppi, il sentirmi tagliato fuori, diverso, solo perché timido e introverso più del normale. Non è la razza, non è la società, ma infondo è un meccanismo simile. Il tuo gruppo di appartenenza che non ti accetta per quello che sei. Alcune diversità che la nostra società non sa accogliere, integrare, rendere motivo di ricchezza invece che di incomprensione.
Lamont mi dice che con il tempo ha potuto inquadrare quell’episodio all’interno di quello che oggi definisce il “self-hate” (l’odio contro sé stessi) che gli afroamericani nutrono a causa della loro condizione di esclusione e marginalità. Ma allora si sentì in colpa, isolato, misero. Non andò più a casa del figlio del collega del padre. Il “mondo come è” aveva fatto ingresso nella sua vita.
“Cosa avete provato ascoltando la storia del vostro compagno?” chiede Rusty.
Rusty Borkin, community organizer di Common Ground, durante il training
Rusty sa che quella parola verrà fuori. Ed è quello che aspetta. In inglese la parola anger significa rabbia. Etimologicamente deriva da un termine utilizzato da un’antica lingua germanica, angra, che significa perdita e dolore.
«La rabbia salutare viene dalla perdita. Guardi il tuo quartiere e vedi che non è più come prima. Oppure la perdita riguarda quello che potrebbe essere e non è», spiega Kathleen.
«Questa rabbia è il fluido che sanguina dall’amore quando lo tagli». E’ il sentimento su cui più lavorano gli organizer. E’ quello che cercano nelle persone «perché è la rabbia l’energia che ti darà il coraggio necessario per superare il bisogno di approvazione e la paura di agire», dice Bob Connolly in una riunione dello staff in cui si valuta il training.
Questo non significa che il punto sia sfogare la propria rabbia e trasformarla in odio verso un nemico. Per questo parlano di “cold anger”, una rabbia trasformata, focalizzata, e legata a una visione.
Il lavoro del community organizing è insegnare a vivere nella tensione che esiste tra il mondo come è e il mondo come dovrebbe essere, sapendo che non si uniranno mai definitivamente. «La tensione di cui parlo non è un problema che deve essere risolto, è la condizione umana. Abbracciare questa tensione è il nostro destino spirituale», scrive Ed Chambers nel suo Roots for Radicals.
«L’interesse per il mondo come dovrebbe essere separato dalla capacità di analisi e azione nel mondo come è marginalizza e sentimentalizza la moralità e l’etica».
Dopo la rabbia, l’altra parola che gli organizer si sforzano di far reinterpretare e rivalutare è il potere. «Questa parola – dice Kathleen – solitamente mette paura a molte persone. Qui dentro comprendiamo molto meglio la parola amore. Ma noi insegniamo alle persone che sentono amore per gli altri a comprendere il potere».
Il potere è la capacità di agire. E’ lo strumento che serve per portare il mondo come è più vicino a come dovrebbe essere. Assume due forme principali nelle società moderne. Denaro organizzato e persone organizzate. Il community organizing è una specifica cultura di organizzazione della società civile fondata sul «potere delle persone organizzate per agire insieme in modo consistente e persistente».
Si fonda su queste modalità operative:
La creazione di relazioni viene prima di qualsiasi campagna, perché è così che i community organizer creano il potere delle organizzazioni dei cittadini. Il community organizing parte dal riconoscere che «in ogni comunità c’è grande talento e grandi leader. Ma sono isolati e le loro voci non sono ascoltate». Il primo strumento del community organizing è quindi l’incontro relazionale. «L’organizzazione è costruita intorno alle capacità apprese attraverso gli incontri relazionali faccia a faccia, che costruiscono relazioni, scoprono gli interessi delle persone, e svelano i leader».
Base allargata. Le organizzazioni di cittadini sono associazioni di organizzazioni, non di individui: chiese, moschee, comitati di quartiere, organizzazioni non profit, scuole, sindacati, piccole imprese, in grado di fornire costantemente centinaia di persone per campagne prolungate nel tempo su singole questioni.
Leadership collettiva. Persone relazionali di fede, impegno, rabbia salutare, che sono aperte alla formazione, vogliose di crescere, capaci di fornire un seguito e formare altri.
Organizer professionali. Reclutano, agitano, insegnano e elaborano strategie insieme ai leader.
Azioni. Iniziative specifiche dirette a persone con il potere reale di risolvere il problema sollevato. Ogni azione ha uno specifico risultato finale in mente e “non marciamo tanto per marciare”. L’azione è nella reazione. Infatti, «la nostra azione mette in moto la loro reazione, e allora è nostro compito utilizzare quella reazione per intraprendere la nostra azione successiva».
Responsabilità. Una cultura basata su leader che si mantengono responsabili uno di fronte all’altro, così come chiedono di fare ai politici, le aziende e l’amministrazione pubblica.